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Boboto e DQ Institute: i dati italiani su cyberbullismo e rischi informatici

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Boboto ha lanciato, lo scorso novembre, un sondaggio nelle scuole italiane per indagare lo stato di digitalizzazione dei bambini dagli 8 ai 12 anni, come partner del DQ Institute. La ricerca, che ha coinvolto decine di Paesi, è stata promossa dall’istituto di Singapore e dal World Economic Forum, insieme con alcune prestigiose università asiatiche e statunitensi, e ha prodotto un report globale su conoscenze, consapevolezza e cittadinanza digitali.

Oltre al report globale, presentato nel mese di febbraio durante il World Economic Forum a Davos, in Svizzera, ogni nazione partecipante ha ricevuto un report dedicato, con i dati relativi allo stato di digitalizzazione dei bambini compresi nella fascia d’età sopra descritta. In Italia, hanno partecipato numerose scuole per un totale di oltre 1500 bambini e educatori coinvolti nello studio.

Dalla ricerca è risultato che, nel nostro Paese, il 55% dei bambini è a rischio informatico. Ma cosa vuole dire rischio informatico? Per comprenderlo meglio, entriamo nel dettaglio della ricerca: uno dei principali rischi informatici al quale i nostri bambini vanno incontro è il cyberbullismo, con una percentuale del 47%, rilevata dalle risposte anonime al sondaggio formulato dal DQ Institute. La percentuale si attesta, cifra più cifra meno, sulla stessa della media mondiale. Il che, tradotto in parole semplici, significa che la metà dei bambini in età scolare è potenzialmente soggetta ad atti di bullismo online.

Che ci sia un collegamento diretto tra il cyberbullismo e la poca consapevolezza dell’utilizzo degli strumenti digitali è indubbio, ma a contribuire a questo risultato potrebbe anche essere il tempo che questi minori trascorrono da soli davanti allo schermo, per puro intrattenimento (il cosiddetto "screen time"), usando i device a disposizione: il report ha stabilito che, ogni bambino, in Italia, trascorre mediamente online 36 ore a settimana, senza controllo da parte di un adulto, ossia 4 ore in più rispetto alla media globale, utilizzando uno smartphone personale, ma anche accedendo al web dai pc disponibili in casa.  

Dai sondaggi, è risultato che le attività online che maggiormente coinvolgono i nostri bambini, sono i canali video come YouTube, l’ascolto di musica in streaming e l’utilizzo di applicazioni di messaggistica, Whatsapp su tutte, che viene utilizzato con una percentuale del 43% in più rispetto ai coetanei del resto del mondo. I bambini che possiedono telefoni cellulari e usano attivamente i social, trascorrono davanti allo schermo, mediamente, 11 ore in più a settimana, rispetto ai coetanei che non hanno un proprio smartphone e non utilizzano piattaforme social, con una probabilità maggiore del 27% di essere coinvolti in rischi informatici.

La parte del sondaggio dedicata agli educatori, rivela che, tra questi ultimi, continua ad esserci una scarsa consapevolezza dei rischi informatici e degli strumenti da dare ai più piccoli per arginare i rischi e garantire un utilizzo di internet virtuoso e produttivo e il meno pericoloso possibile.

A fronte dei risultati del report che abbiamo appena visto, con percentuali certamente non rassicuranti, considerando che tra i rischi informatici compare anche l’adescamento online, che da virtuale in una minima percentuale si trasforma anche in reale (percentuali tra il 18% e il 14%), andrebbero intensificati gli interventi educativi da parte degli insegnanti e dei genitori stessi: ciò contribuirebbe a modificare le abitudini digitali dei bambini. Il 94% di loro che ha partecipato a questa ricerca, è iscritto a diversi canali social, nonostante sia necessario aver raggiunto la maggiore età per farlo, così come riportano i regolamenti stessi delle piattaforme social.

Dal risultato totale dello studio, si evince chiaramente l’urgenza di intraprendere e intensificare percorsi educativi adatti ai bambini in età scolare, riguardanti la conoscenza dei propri diritti digitali e un uso etico degli strumenti informatici. Sin dalla sua nascita, attraverso le sue attività sul coding e pensiero computazionale, Boboto,  si impegna a creare consapevolezza e rafforzare il senso di cittadinanza digitale tra i bambini e le bambine, perché far proprio questo concetto e accompagnare i bambini nell’utilizzo sano e innovativo della rete, ci può consentire di scendere al di sotto di quel 55% e rendere utili e non dannosi gli strumenti che ci offre la tecnologia informatica, senza applicare sterili divieti, ma fornendo al bambino tutto il necessario affinché ne possa fare un uso intelligente e costruttivo.

Scarica il Repor italiano sui rischi informatici per i bambini dagli 8 ai 12 anni a cura del DQ Institute e World Economic Forum

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